DEL CALCIO E DI ALTRE FILOSOFIE

Una via in zona Ferrovia di appena 300 metri, nettamente divisa per metà dal nostro convincimento, così che metro più o metro meno ti sentivi straniero o re dell’impero.

Due palazzetti sopra tutti dominavano l’angusta strada: loro, i Natros, noi , gli E.N.A.L..

Ognuno la sua salumeria, approvvigionamento viveri, il proprio barbiere, il tabaccaio, il bar e guai a far affari con i commercianti sconfinati, pena etichetta traditore.

I Natros a quattordici anni avevano la faccia di Tomueits e nomi da scaricatori di porto: Marciano, Tredita, Cavallo…, ma il più bastardo di tutti quei piccoli bastardi era il Frollo, mai un sorriso e hobbies preferito lancio di micetti dai tetti dei palazzi in costruzione per al limite finirli saltellandoci sopra.

Oggetto apodittico e sublimato del mio odio.

Noi, banda di mammoni, forti solo del fatto di aver imparato tecniche teoriche di combattimento dalle visioni quotidiane di Goldréik, Mazinga e Gig robò, e buoni sentimenti e capacità di soffrire da veri orfanelli quali Remigio, Chendichendi ed Aidi.

Nomi tanto comuni che ci costrinsero ad inventarci soprannomi che alla finfine non usammo mai come Poveretto per Paolo, in quanto nostro scudo umano nelle risse con i rivali, kamikaze non proprio compiacente, cavia inutile per esercitazioni di cattiveria, Spundatutto per Nicolaprimo, per mole e capacità di organizzare i raid in territorio nemico standosene a guardare l’esito improbabile a debita distanza, Chiantadecactus per me e non ho ancora capito perché.

I giorni passavano tra insulti reciproci, schiaffi , occhiali rotti.

La nostra massima provocazione era mandare Poveretto a gridare durante le loro riunioni "Marciano du l’ha cchiati ggi nchiali" con immediato ritorno alla base tra a minacce e improperi scagliate come frecce di Apache alle spalle.

Delle loro incursioni quella che ricordo più efficace avvenne durante la nevicata dell’87 e non tanto perché colti di sorpresa non riuscimmo a defilarcela, ma perché la mia mamma premurosa andò a cantargliele, fingendosi, credo, della polizia.

La nostra pagina più nera, una vera debacle.

Poi un giorno giunse un emissario a proporci una sfida calcistica.

Luogo il mitico campo "Zalerio", passato il ponte, nei pressi dell’unica gelateria di zona, territorio neutrale.

Data, sabato prossimo.

Accogliemmo, mandando via l’ambasciatore con messaggi ostili.

Nella settimana non pensammo ad altro ed i preparativi furono frenetici.

Integrammo la squadra con amici estranei al regno, in gergo stranieri, nei quali cercammo di inculcare il nostro odio anche ricorrendo ad immense bugie, riferendo a quello che aveva appena subìto il furto del motorino che Marciano rubava motorini, all’altro che detestava i milanisti che per l’appunto Tredita era milanista, al biondo che Cavallo considerava i biondi tutti immensamente coglioni.

Solo per Frollo ci limitammo a dire la verità.

Quel sabato c’era il sole, lo Zalerio sembrava solo aspettarci con i suoi pezzi di cemento ad indicare le porte, le sue linee invisibili e gli spalti composti da mucchi da discarica in decomposizione.

Chiazze di verde rucola si alternavano a distese di fango e, a delimitare il lato destro, un alto muro con filo spinato, lager perpetuo di centinaia di palloni dei quali sembrava di sentire il lamento.

La partita si rivelò da subito solo un bieco pretesto da parte loro per suonarcele selvaggiamente.

La stretta di mano di rito tra i due capitani fu sostituita da uno sputo in faccia di Marciano al nostro Spundatutto, e Poveretto fu assalito da cinque uomini contemporaneamente non appena, battuto il calcio d’inizio, la palla arrivò tra i suoi piedi (al che lasciata la palla sul posto l’infame cominciò istintivamente a scappare via).

Sul mio lato giocava Frollo.

che da subito cominciò a scalciare senza motivo leggeri ma secchi calcetti sui polpacci miei ad azione lontana e, sopportatetene cinque o sei, al settimo arrestai la mia corsa e, lanciato un grido sovrumano, lo rincorsi con tutta la rabbia che potevo e, presolo...

Nel seguito lui ebbe la peggio ma anche la mia partita finì lì.

Nonostante la loro corpulenza il risultato non si sbloccava.

Al calar del sole Poveretto fece ritorno dalla sua folle corsa chissadove, e rientrò in campo.

Marciano in porta perse gli occhiali per uno scontro fortuito con Cavallo e mentre si apprestava a raccoglierli un tiro svirgolato del corridore finì magicamente in porta.

Vincemmo.

Entrai zoppicante in campo a festeggiare.

I Natros per rabbia scagliarono Frollo, impossibilitato a difendersi, al di là del muro a far compagnia ai palloni deportati (non è vero purtroppo).

Finì così quella rivalità: i Natros non esistono più, noi non esistiamo, lo Zalerio è ricoperto da villette.

Dieci anni dopo a Roma ho conosciuto un Canadese di padre australiano, madre francese nato in Sudafrica, sposato con una giapponese, incredibilmente cresciuto a Lecce.

Da piccolo giocava a calcio in un campo di rucola e fango.

C’era una gelateria vicino.